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24.03.2015 22:46

Tutti hanno le cosiddette fisse, quelle proprio apparentemente irrazionali, quelle per cui gli amici ti dicono ao ma stai fori. Ad esempio mio fratello prende appunti sui quaderni a quadretti scrivendo una lettera in ogni quadretto, roba che ti viene il mal di testa solo a guardare la pagina, oppure quelli che camminano senza toccare le righe delle mattonelle, o ancora quelli che se i libri non stanno tutti perfettamenti allineati sullo scaffale je pia un colpo; nella mia vita in testa alla pole position dei fissati c'è una mia amica che considera un oltraggio mangiare una Fiesta a morsi: è opportuno mangiare prima il cioccolato intorno e solo dopo il pan di spagna dentro, ciao Fra. Insomma nel club dei fissati ci sono anch'io e me la contendo con la mia amica della Fiesta, roba che il vino sulla tavola deve stare almeno a trenta centimetri di distanza da me, i quadri devono essere dritti, ma soprattutto tutto ciò che è dotato di sportello deve essere dannatamente chiuso. Chiuso. Perché la maggior parte della popolazione non ha ancora capito che se un oggetto ha un fottuto sportello, questo serve per essere aperto durante il suo utilizzo e chiuso dopo; una volta in quinto superiore entrai in un'aula mentre la prof spiegava con la porta aperta e chiusi il cestino della plastica, pensai che forse era sbagliato entrare in un'aula random e chiudere un cestino, ma quello sportellino fastidioso e inutilmente aperto era sicuramente più sbagliato del mio gesto. E come dicevo sono fisse, non so come si chiamano tecnicamente, comunque cose che non hanno apparentemente un senso, se non forse la necessità di creare un ordine esterno quando dentro di noi c'è un casino, ma non lo so, basterebbe fare una ricerca su Google, sicuramente qualche psicologo avrà detto la sua. E invece cavolo ho capito che la mia fissa maggiore, quella di chiudere ante e sportelli, ha un senso. Eccome se ce l'ha. I cassetti sono fatti per essere chiusi, soprattutto alcuni, non quelli in cui si tiene la biancheria intima magari, ma quelli dei ricordi, chiamiamoli così. I cassetti in cui ci si buttano dentro gli oggetti che non hanno una precisa funzionalità, ma che ci sono stati magari donati in un particolare momento, da una particolare persona e possono essere di tutto: fotografie, portachiavi, accendini, oggettini vari, lettere. Quei cassetti non vanno aperti e il motivo è semplice. Se apri il cassetto della biancheria, prendi un reggiseno e lo chiudi non succede niente. Se apri un cassetto di quelli conquellecosellì vieni risucchiato. E non si sta comodi chiusi in un cassetto. Vieni risucchiato dai ricordi, cazzo te la ricordi quella foto, guarda chi frequentavi quel periodo, cavolo questa lettera, sbem e che tristezza cazzo,già a vent'anni ti ritrovi chiuso in comodino con le lacrime agli occhi e una pietra sulla stomaco.
Aprite tutto, menti, gambe e cuori, ma chiudete i cassetti.

06.03.2015 22:20

 M'è venuto in mente di scrivere ste righe dopo aver ascoltato per caso in radio un pezzo di Fedez, quella roba che fa tutto è magnifico, ma tu un po' di più, le scarpe nel frigo, smettila di piangere fuori stagione e tanti cazzi. L'ho ascoltata e ho pensato che fosse un bel pezzo, carino, mi piace, ma ricordavo di averla già ascoltata. In effetti una mia amica tempo fa m'aveva detto di averla apprezzata e io dall'alto della mia spocchia di sto gran cazzo avevo inziato a schernire e denigrare l'autore del pezzo, perché oggettivamente chi s'ascolta quella faccia di merda tatuata? Le pischelle di dodici anni che poi scrivono fuori tutto è magnifico, ma tu un po' di più su Tumblr seguite poi da tutti quelli che ovviamente ripropongono la stessa immagine associata alla foto del letto, del barattolo di Nutella e ste robe qua. Comunque no, non è un elogio a Fedez di cui mi fotte sega, ma è la conquista della piena consapevolezza di qualcosa: sono letteralmente circondata nella mia vita reale e virtuale da pseudo intellettualoidi dei miei stivali che si sentono in diritto di ritenere dozzinale, mediocre e degno di disprezzo tutto ciò che non rispetta i loro canoni. Famose a capì. Te vedi Sanremo? Sei un coglione. Te vedi i talent show? Sei un coglione. Vai in discoteca? Sei un coglione. Segui il calcio? Sei un coglione. Leggi Fabio Volo? Sei un coglione. T'ascolti Fedez? Sei un coglione. Ora, io me me medisima non leggo Fabio Volo, non vado in discoteca, non ascolto Fedez - mentre sì i talent show cazzo se me li vedo e con Sanremo st'anno c'ho fatto un'overdose - ma non mi sento minimamente superiore a nessuno cazzo, né a chi a cinquant'anni pubblica su Facebook quelle immagini mega trash di Tweety con scritto buonanotte, né a chi va in giro con gli accidenti di risvoltini, né a chi ci ammorba i coglioni con i video di Dubsmash,né a chi non sa manco come cazzo se chiama. E me so resa conto che invece questi intellettualoidi che tanto mi stanno sui coglioni non sono nient'altro che l'immagine di quello in cui io stessa intorno ai sedici anni avevo iniziato a trasformarmi. Ho iniziato a cambiare i miei gusti musicali, il mio modo di vestire, di approcciarmi a qualsiasi cosa per non sentire rotture di cazzo: da una parte era sana crescita, dall'altra desiderio di elevarmi rispetto a una massa che era di un botto elevata rispetto a me. Ora a vent'anni invece mi sento figa, cazzo se mi sento figa. Mi sento figa perché ho l'apertura mentale per spegnere la tv quando finisce la puntata dei Cesaroni e leggere Pasolini, di avere in macchina i dischi dei Genesis e di Laura Pausini, di spaccarmi di Dé André e riconoscere la potabilità di un pezzo di Fedez, di andare a teatro e di cazzarare su Instagram, di saper contemplare un paesaggio in silenzio e di spararmi il più idiota dei selfies e se me capita con tanto di bastone, di stare su Facebook senza pensare che tutti quelli che condividono il vestito blunerobiancoro siano coglioni, di farmi una risata in più e rompere il cazzo al prossimo una volta in meno.
E a voi intelletualoidi del cazzo: elevatevi, ma fatelo davvero.

25.02.2015 20:08

Sono andata su un sito che permette di recensire liberamente dischi, libri, film perché avevo voglia di recensire qualcosa. E ho scelto l'ultimo album di Malika Ayane. Ho dovuto chiudere la pagina di quel sito e aprire quella del mio blog, inevitabilmente. Una recensione è una tipologia di testo che - vista la finalità - richiede un linguaggio specifico e dei limiti entro i quali muoversi: ci ho provato, ma con Naïf non riesco. Avevo intenzione di iniziare con qualcosa come Naïf  è il titolo del nuovo alb... no, non ci riesco. Fortunatamente qualcuno l'ha già fatto al posto mio e anche molto dignitosamente, perciò non vi parlerò di Naïf, ma vi diro cos'è.
È il lavoro, l'impegno di chiunque abbia collaborato a realizzarlo. È la soddisfazione tra le dita di una giovane donna. È il cerchio d'acqua che crea il sasso lanciato nella noia. E' una danza di bambini scalzi. È l'insieme di quei suoni che volevo sentire. È una voce che ha fatto centro nel petto. È quella frase che stavo cercando. È quel pezzo che va condiviso, dedicato, passato, cantato.
È il disco che voglio in viaggio, in camera e in auto. È quello che voglio ascoltare col mio ragazzo, con mia madre, col cane del vicino. E da sola. È guardare un cielo di periferia, la pioggia sul vetro, uno specchio pulito. È l'attimo che mi sono persa e quello che ho preso in pieno. È una spinta e un calcio in culo. È la strafottenza che rivoglio. È quella sigaretta che hai tutto il tempo di fumare e quella che devi spegnere perché è arrivato l'autobus. È la marmellata sul toast al mattino. È il brusio della metro di Roma. È quello che non so recensire, è quello che m'ha recensito. È primitivo. È oltre. È naïf.

 

08.02.2015 19:00

Ti scrivo questa lettera perché so che la leggerai. Perché a te piace leggere. Me lo hai insegnato tu.
Oggi è stato bello incontrarci, le persone si incontrano in centro, al bar e noi nelle caramelle.
Nelle caramelle all'anice. Ci incontriamo in quel sapore dolce e avvolgente che rimane sulle labbra e che m'è rimasto dentro. Per quanti anni m'è rimasto anche nelle tasche, bastava infilare la mano in tasca e tirare fuori quel confettino trasparente avvolto in quel piccolo involucro azzuro che mi lasciavi ogni volta che ci salutavamo. Per dirci a presto. Come l'ultima volta che ci siamo dette a presto e infatti eccoci qui.
Io, te e le nostre caramelle all'anice.  E senti che profumo, intenso e puro. Puro, leale, come te. Mi hai insegnato a non mentire, io non t'ho mai mentito. Solo una volta l'ho fatto, qualche mese fa e ti chiedo scusa. Mi hai chiesto perché piangessi e t'ho detto che in strada stavano bruciando qualcosa, c'era tanto fumo e m'era entrato negli occhi. Era vero, ma io avevo gli occhiali da sole e negli occhi m'era entrata solo la paura di non vederti più. Poi t'ho rivisto, eccome se t'ho rivisto. E abbiamo riso anche se i muscoli del tuo volto scarno non ne avevano la forza, ma tu l'hai fregati e hai usato una forza più forte, quella che hai sempre avuto dentro, quella che m'hai lasciato. E hai riso con me, hai riso di cuore. E' l'ultimo ricordo che ho di te; te con quella tazzina in mano che tante volte era stata complice della mia trasgressione, quando da piccola mi bagnavo le labbra con il caffè e mi sentivo grande, per poi tornare come un cucciolo tra le tue braccia, il tuo cucciolo.
In realtà l'ultimo ricordo prima del nostro a presto è stato un abbraccio forte e un bacio, l'ultimo di milioni di baci. Ti ricordi ogni giorno la sequenza era: bacio e poi strofina, strofina forte per togliere il rossetto e poi di nuovo un bacio perché a noi del rossetto non ce ne fregava niente, dei baci sì.
Sei sempre stata fiera di me, quando mi portavi a spasso tra quei tigli che soppiantavano gli olmi, mi mostravi come il tuo piccolo trofeo, mi curavi come una bambolina e mi rendevi la bimba più solare del mondo.
Poi sai col tempo un po' di solarità l'ho persa, ma mai abbastanza da non esser in grado di ritrovarla in un bel ricordo, in un bel progetto, in una caramella all'anice.
Allora a presto.

 

 

 

04.02.2015 22:47

I maschi ragionano col cazzo.
Non col cazzo che ragionano, ma ragionano proprio col cazzo, quasi ogni donna almeno una volta lo ha detto, scritto, pensato o almeno sentito dire, letto; insomma non sarà sicuro la prima volta che sentirete sta frase.
Finché stasera una mia Amica, ben poco interessata all'universo maschile, mi fa una domanda molto lecita: perché vi lamentate tutte de sti uomini e poi ve li fate? A meno che non mi si stia chiedendo il senso della vita o il senso della maggior parte delle emoticon presenti su Whatsapp, a domanda rispondo. In realtà la risposta potrebbe essere alquanto semplice e banale e se dovessi rispettare strettamente la consegna in cui compare il predicato verbale "fate" risponderei perché so gusti, so belli, quelli ce piacciono e quelli se famo.
Ma conoscendo la fonte della domanda so bene che c'è altro oltre quel "fate". Allora provo con una risposta diversa, con qualcosa che dall'attrazione fisica primitiva quanto essenziale, primordiale quanto magnifica si sposti verso qualcosa di apparentemente più astratto, in realtà assolutamente tangibile e sostanziale. Perché personalmente non credo che molte donne decidano di passare la loro vita con un uomo perché preferiscono degli addominali ad un paio di tette o perché i bambini non li porta la cicogna, ovviamente sì, tutto fa brodo, ma nella mia presunzione, che forse non è altro che ingenua introspezione, immagino o forse sento davvero ci sia dell' altro. E qui entro davvero nella Mia testa e nel Mio corpo e non devo aggiungere altro, perché gradirei davvero evitare di dover fare captatio benevolentiae e mettere le mani avanti sulle righe del mio blog. Insomma mi chiedevo, davvero è una roba in mezzo alle gambe che ci distingue dall'altro sesso? Evidentemente no, altrimenti neanche avrei iniziato a scrivere questo pezzo con cui non so in realtà dove voglio andare a sbattere. La verità è che trovo la capoccia maschile decisamente interessante. E a volte è proprio il fatto che i maschi pensino sempre al sesso a renderla tale, e lo è ancor di più prendere consapevolezza e farsi una ragione del fatto che non sia vero, perché non raccontiamoci balle per scaricare le nostre frustrazioni, se nella vita avete incontrato solo maschi che pensano esclusivamente al sesso il problema forse non è il loro, ma il vostro che evidentemente cercate nei posti sbagliati. Quello che trovo decisamente eccitante è cercare di entrare in un universo che riconosco essere spesso su coordinate completamente diverse e distanti dalle mie ed è appagante esattamente come lo è esplorare una nazione sconosciuta e assaporare la mentalità indigena che filtrata dalla propria avrà un gusto a volte amaro, altre piccante e altre ancora semplicemente squisito.
 Fatto sta che ancora non sono riuscita a rispondere alla mia paziente Amica che nel frattempo si sarà addormentata, perciò alla fine ho deciso di ricorrere ad una delle mie squallide metafore. Ma dal fascino del nuovo universo mi sposto ancora a qualcos'altro, a qualcosa di totalmente irrazionale e per me ancora poco analizzabile. Insomma Amica mia, avrei preferito che m'avessi chiesto di spiegarti le emoticon di Whatsapp, quelle inutilissime che si trovano alla fine e che non utilizzerai mai in una conversazione in chat.
Penso alla persona con cui sto scegliendo di trascorrere i miei giorni: io e lui viaggiamo su binari diversi, ma i nostri binari si incontrano, si intrecciano senza mai sovrapporsi, a volte si scontrano, ma poi s'accompagnano. Lo so sarebbe un casino se ci passassero sopra dei treni, ma non importa. Perché quello è amore.
Altrimenti si chiamerebbero Ferrovie dello Stato.

29.01.2015 22:40

Ognuno ha la top ten delle proprie aspirazioni. Stasera ho fatto un salto tra le prime posizioni della mia e ho letto essere ignorante. Voglio essere ignorante. No, non voglio essere analfabeta, né avere una cultura paragonabile a quella di un ovino, con rispetto parlando;  voglio semplicemente essere in grado di ignorare qualcosa, qualcosa in particolare. Non gli insulti, i giudizi e ste robe qui, quelli me li tengo, me li becco e tanti saluti, piuttosto vorrei ignorare tutte quelle cosette che si radicano in me senza che nessuno gliel'abbia chiesto.
Mettono le radici nella mia capoccia ed io lì pazientemente ogni giorno cerco di estirparle strappandovi le foglie, mentre le radici crescono, spingono, si fanno spazio e sollevano il cemento delle mie paranoie.
Sono erbe infestanti, ricordi di qualcosa che non mi riguarda più, di qualcuno che non m'è mai riguardato, di chi s'è concesso di oltrepassare la gracile linea della mia sensibiltà senza chiedere il permesso e tutte stronzate così. Se fossi in grado di ignorare le erbe che infestano la mia capoccia con la grande abilità con cui ignoro la sveglia al mattino starei a cavallo. E cadrei pure in quel caso, perché cado dalle sedie, figuriamoci dai cavalli.

25.01.2015 21:44

Tienimi la mano
mentre evaporiamo.
Un' ultima volta
come per gioco
e io ho smontato già
il castello che avevo
costruito in cielo
ho buttato giù le torri,
spaccato il ponte.
E' rimasta soltanto
l'acqua nel fossato,
ma quella siamo noi.
Tienimi la mano
mentre evaporiamo.

 

01.12.2014 22:10

Esistono due categorie di figli al mondo. Io e il Figliodeglialtri.
Se non per il fatto di essere entrambi figli di qualcuno, gli appartenenti alle due categorie non hanno assolutamente niente in comune. Anzi, si può dire che una categoria sia esattamente l'opposto dell'altra. Descrivere minuziosamente la differenza tra le due tipologie di figli sarebbe alquanto complicato proprio perché queste si differenziano davvero in ogni campo; per dare un criterio generale di distinzione potremmo associare alla prima categoria l'aggettivo pessimo ed alla seconda l'aggettivo perfetto.
Da qui è facile capire chi fa cosa.
Il Figliodeglialtri è quello che all'asilo si allacciava le scarpe da solo mentre Io doveva ancora imparare a camminare, il Figliodeglialtri è quello che aveva ottimi voti alle elementari, alle medie, alle superiori, all'università e se anche Io ne avesse avuti di  decenti non sarebbero mai comunque stati all'altezza del Figliodeglialtri, perché il Figliodeglialtri è quello che mentre Io dopo essersi laureato cercherà lavoro, sarà quello candidato alla prossima carica al Quirinale, stufo di esser il miglior architetto, ingegnere, avvocato e medico del mondo.
La buona notizia è che non tutti nascono Io. Ma se nasci Io non metterti a cercare il Figliodeglialtri per corcarlo di botte, perché cercandolo scopriresti che in realtà nel mondo è pieno di Io e se qualcuno ti guarda male e proprio non capisci il perché, è che magari quel Figliodeglialtri per lui potresti essere tu.

23.11.2014 16:29

Si parla spesso di quanto sia difficile chiedere scusa. Lo è. E lo è per una cifra di ragioni, per riassumerle a grandi linee si potrebbe dire che c'è di mezzo l'orgoglio e se ammettere a se stessi i propri sbagli è dura, ammetterli di fronte a qualcun altro lo è ancora di più, insomma una banalità del genere.
Scusa, scusare, ex cusare, allontanare la causa, allontanare la colpa, no. Non voglio allontanare la colpa.
Non voglio trovare una - appunto - scusa. Vorrei proprio addossarmela tutta, buttarmela addosso con una pala come se fosse un'enorme montagna di letame, di quelle che si trovano nei campi nei pressi di schiere di balle di fieno. Sì, l'immagine è alquanto trash, ma in questo momento nella mia testa niente rende meglio di una caterva di letame bovino l'orribile tanfo e la pesantezza di una colpa.
Se quella è l'intenzione, la sensazione è quella di non poter riparare, è quella di mettere dello scotch di carta su un oggetto di vetro rotto, ormai esteticamente farebbe cagare e soprattutto reggerebbe anche poco.
Quindi rimaniamo tutti qui, eccoci: io, la mia faccia da cazzo e la mia montagna di merda.
Sono arrivate le mosche.

21.11.2014 19:03

E' troppo tardi. Purtroppo la vita non è una trasmissione televisiva diretta dal maestro Manzi, quindi sì, a volte è troppo tardi. E non mi resta niente da fare, se non pensare a quanto avrei potuto fare e  piangere addosso a tutto, addosso a me, ai miei libri, ai miei vestiti, cos'altro? Adesso è tardi. E' troppo tardi. E in quelle lacrime scorrono mille scuse, giustificazioni nere, giustificazioni sporche, fanno schifo ora che è tardi.
Perché forse c'è ancora tempo per tutto, c'è tempo per chiedere scusa, c'è tempo per amare, per ricominciare, per smettere.
Solo per vivere a volte non c'è più tempo.
E' tardi. Quelle lancette sono lame. Ogni tic- tac una coltellata. No, non servono davvero a niente queste lacrime, ma se potessi piangerei nella clessidra della tua vita per fermare la sabbia, sai solo allora non sarebbe tardi.

 

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