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Si fa la guerra
ma chi di noi è più forte?
Chi ha pianto di notte,
chi ha perso più volte?
Si fa la guerra
ma qui non c'è il migliore
si piangono le stesse lacrime
si perdono le stesse ore
E questa guerra
la vince il dolore,
intanto noi, si fa la guerra,
ma si potrebbe far l'amore.
Scricchiola ogni certezza
si schiude piano, tentenna
è un giorno fragile oggi
dietro le spalle il mio guscio
ancora fresco, così vicino
è già troppo distante
perché è un giorno fragile
oggi, domani
Si Vola.
Devastanti. Le emozioni sono devastanti. E più sono il frutto di passioni vorticose e più sono devastanti. E quando la superficie fisica è così ridotta rispetto a quella emotiva, il tutto diventa ulteriormente devastante. Perché le emozioni ti stritolano lo stomaco, ti dilaniano il cuore e insoddisfatte di sbranano l'anima. E di te non rimane nulla, se non un corpo in brandelli, trangugiato dalla passione.
Cari Epicureisti, vi lascio con tutto il rispetto alla vostra atarassia, in quanto a me io preferisco vivere così: devastata.
I gabbiani danzavano su di te come impazziti in quella notte di marzo, aspettavano l'arrivo del battello e poi volavano via a scaldare un altro punto delle tuo lungo manto, fino al momento in cui il solletico delle loro delicate zampette non si era trasformato in una dolce carezza e tu hai chiuso gli occhi sotto quel cielo senza stelle.
Io, anima incerta disturbavo timidamente i tuoi sogni, ero lì un po' per caso, un po' per sbaglio a lasciarmi cullare dalle tue acque. Il mio cuore sventolava piano, il vento stanco consumava i miei respiri sereni che si distendevano sulla tua coltre, felicemente abbandonati dal mondo e accolti dalla notte. Nei miei occhi erano riflesse le luci della città, quelle luci tremule che bagnavano i tuoi sogni, chissà cosa stavi sognando Moldava, chissà se apprezzavi la mia compagnia, quella delle luci, quella del vento, quella dei gabbiani, chissà quale gradivi di più e di quale avresti fatto con piacere a meno. Di certo so che apprezzavi la sua vicinanza, quella della donna che condivideva con me ogni respiro, ogni soffio di vento, ogni riflesso di luce, tu la cullavi con tenerezza, lei ti guardava con complicità.
Il freddo m'aveva immobilizzato gli arti, non sentivo più davvero il mio corpo e questo mi dava la possibilità di immaginare meglio, di fondermi con te, di annegare le mie paure nelle tue acque scure e di lasciarle lì a poltrire, a farsi corrodere sul tuo letto di pietre.
Guardavo la città, sopra di me il cielo era d'asfalto, guardai le mie scarpe. Conoscevano quel cielo. I miei Levi's poggiavano su quel muretto freddo e discontinuo, il vento fumava la mia sigaretta e in cambio mi carezzava i riccioli di paglia. Tra le mani l'Antologia di Spoon River era aperta a pagina 399 dove sul foglio giallastro l'inchiostro nero sussurava " Forse pensi, viandante, che il Destino/ sia un trabochetto esterno/ che puoi schivare usando/ previdenza e saggezza." Mi fermai un istante prima di proseguire e pensai alle parole che avevo letto, quella lettera D maiuscola che avviava la parola destino mi scosse un po'. Pensai al mio di Destino, ebbi paura. Non trovai concretezza nei pensieri, vidi una foglia di tè, una notte d'amore, un ramoscello di ulivo tra le ruote della mia vecchia Bianchi e un libro aperto di John Fante, poi vidi il mare di notte e a quel punto iniziai a naufragare nel profondo dei dedali della mia mente brandita dalla più intensa delle vertigini, inspirai con forza, lasciai cadere il mozzicone dalle mani e liberai con delicatezza l'aria immessa poco prima, vidi il vapore della condensa raccogliersi davanti ai miei occhi umidi, poi lo guardai allontanarsi e disperdersi nel cielo cinereo, prima che potesse raggiungere le nuvole di smog della città. Solo dopo capii che quel vapore era l'immagine del mio destino, rado, inconsistente e destinato a scomparire prima di raggiungere lo smog del mondo.