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A volte ho l'impressione che la memoria non basti. Il ricordo resta, ma le lacrime si asciugano, i brividi si appiattiscono e le emozioni diventano sempre più sbiadite, finché l'unico ricordo che ne avremo sarà una lacrima o un sorriso. Le emozioni invece non meriterebbero di essere semplificate, è come se di un importante artista ricordassimo solo il titolo di un'opera perché magari l'abbiamo sentita pronunciare durante un quiz televisivo. Bisognerebbe inventare un acchiappa - emozioni, pronto in qualsiasi momento a risputarci addosso quella sensazione preziosa che temevamo di aver perso. Oppure basterebbe scoprire i propri acchiappa - emozioni, perché probabilmente qualcuno li aveva già inventati. Credo che i miei si trovino nelle note, nell'inchiostro e nelle pupille.
Ci siamo noi e poi le altre persone. Sono fuori di noi, possiamo vederle, toccarle, annusarle, parlar loro e ascoltare quello che hanno da dirci, possiamo farci tantissime cose in realtà.
A volte però capita qualcosa di strano, quella persona che tu eri convinto di avere davanti ai tuoi occhi... sparisce e ti senti un pugno che arriva da dentro lo stomaco. Inizialmente ripensi a cosa hai mangiato, poi escludi intossicazioni alimentari e continui a pensare cosa potrebbero essere quei colpi che senti da dentro, ci metti un po' a capire che quella persona non è più fuori di te.
Ma sei sicuro di non averla mangiata, forse è solo inciampata e ti è finita dentro, forse era distratta ed è scivolata o ha semplicemente sbagliato strada, ma ora non è più importante come sia entrata, quel che conta è sapersela tenere. Perché ti rendi conto che vomitare sarebbe l'errore più grande della tua vita.
In fondo io vivo in una notte d'estate, sono nata quando è nato Febbraio, quel primo giorno del secondo mese dell'anno, quella sera in inverno probabilmente era una notte d'estate. Perché sarebbe bello vivere sempre in una notte d'estate. Non importa a che ora si va a dormire perché le notti d'estate non hanno un orario, ma hanno un odore. Nelle notti d'estate gli errori sono sviste, le piccole emozioni sono immense, i sorrisi sono illuminati dalle stelle e le lacrime assorbite dalla Luna. Le parole sono musica nelle notti d'estate, gli abbracci sono tuffi, i baci sono sogni.
Non svegliatemi in questa notte d'estate.
Si perdono i passi nel tempo
Si ascoltano i pianti in silenzio
Si asciugano i sogni d'estate
E rinascono poi sulle rive bagnate.
Mi perdo a guardare la luna
La luna si perde guardando te
E ripensi stanotte alla tua fortuna
Nascosta tra cenere e tazze da tè
Ti chiedi se manca qualcosa
per sbaglio guardi lo specchio
Basta poco, sorrdi e capisci cos'è
Questa notte che viene in estate
Ti porta a viaggiare in salita
Su la strada che inizia dentro di te
Quella felicità mi mancava.
Quella che mi divorava quando a cinque anni mamma verso le nove di sera mi chiedeva se avevo voglia di fare i giretti con la bicicletta nella piazzetta sotto casa. Per me non erano le nove di sera nella piazzetta, erano le due di notte nel mare aperto.
Quella che mi commuoveva quando papà tornava a casa in inverno con delle calde ciabattine nuove per me. Per me non erano ciabattine, erano le scarpe più belle del mondo.
Quella che mi faceva sentire grande quando la mia tata a fine giornata mi dava una barretta Kinder come premio, sapevo di essermela meritata tutta.
Quella felicità mi mancava.
Oggi l'ho ritrovata ancora una volta.
Camminavo verso lo studio dentistico, mi guardavo intorno a fatica, la testa mi esplodeva per la stanchezza e il pensiero di sottopormi ad un intervento decisamente doloroso non mi rassicurava, tuttavia ero tranquilla.
Entrai nello studio dentistico, uno di quei posti che rappresentano perfettamente lo stereotipo di studio dentistico. La perfezione nell'essenzialità, stare in quella sala d'attesa mi piace decisamente, le pareti bianche riflettono uno stato di quiete che mi pre-anestetizza.
Davanti a me, sul divanetto in pelle nera, erano seduti un uomo sulla cinquatina e Chiara, una bimba abbastanza piccola. Non saprei dire quanti anni avesse, forse cinque, forse sei, fatto sta che l'età è l'ultima cosa a cui avresti pensato guardando quello scricciolo. Era così piccina e tenera, ma allo stesso tempo trasmetteva uno stato di inquietudine che iniziai a far fatica a sopportare.
Chiara nascondeva i suoi occhietti a mandorla dietro i lunghi capelli lisci e neri. Li nascondeva perchè piangeva. Aveva paura Chiara. Non voleva dirlo a nessuno. Le lacrime le rigavano il viso, scendevano alternandosi, prima a destra, poi a sinistra, in modo tale che la piccola riuscisse a farle sparire catturandole con la lingua, prima destra, poi a sinistra.
Non emetteva suoni, ma era evidente che faticava non poco a trattenersi. Poi mi guardò e vidi il panico nei suoi occhi. Avevo scoperto il suo segreto. Avrei voluto dirle qualcosa, ma così facendo l'avrei tradita, il suo papà avrebbe scoperto le sue lacrime. Allora ebbi un'idea, approfittando della distrazione del papà, guardai Chiara e mettendo una mano davanti alla bocca cercai di prometterle di non parlare, certo con un solo gesto non sapevo cosa potesse aver capito la bimba, per sicurezza le sorrisi.
Lei mi guardò, i suoi occhietti a mandorla mi penetrarono tanto da mettermi a disagio, provai a contrastare lo sguardo, ci riuscii.
Chiara mi sorrise.
Io piangevo.
Quel primo maggio piovevano lame.
Era una pioggia così leggera, eppure sentivo le gocce sul mio viso che tagliavano ed io ero lì a farmi lacerare. Quando alzai lo sguardo al cielo vidi che era bianco, privo di qualsiasi sfumatura, era esattamente come me: immobile e piangeva. Pensai che nel momento in cui le presi la mano per metterla sul mio cuore non ero lucida, o forse lo ero semplicemente troppo. Pensai anche che lo sbaglio non era stato quello, ma il fatto di alzarmi dalla sedia per andarle incontro. L'istinto non ti rende consapevole delle responsabilità che dovresti assumerti prima di compiere qualsiasi gesto, prima di fare anche solo un respiro. Poi il panico che arrivò quando mi resi conto che tutto quello che avrei voluto dirle non ero riuscita a dirlo neanche a me stessa. Cadde il silenzio, interrotto da i miei stupidissimi e tuttavia sinceri « Non lo so ». No, le parole non avevano intenzione di uscire, le sentivo lì, nella bocca sì... ma quella dello stomaco, ammassate come un accumulo di capelli nel tubo di un lavandino che non permette all'acqua di andare giù e quando apri il rubinetto si allaga tutto. Era esattamente quello che stavo facendo, stavo allagando un rapporto. Stavo allagando tutto. E dopo aver provocato un allagamento non puoi sparire nel nulla e far finta di non essere stato tu, sperando che prima o poi qualcuno asciugherà quell'acqua al posto tuo.
Decisi che non era quello il momento di pensarci, anche perché mani, gambe e anima che tremavano non mi avrebbero aiutato. Ma che cazzo di senso aveva rimandare? Nella vita si rimanda tutto, si rimandano gli impegni, gli appuntamenti, i compiti in classe, si rimandano le paure. Io rimando sempre le mie paure, perché infondo ho la speranza che con il tempo esse perdano la loro aggressività, ma non è vero un cazzo. Restano lì e le loro radici crescono fino a quando sarà impossibile sdradicarle. Quindi ci provai, provai a pensarci ed iniziai a risentire alcune delle parole che avevo ascoltato poco tempo prima, le sentivo rimbombare nella mia testa, diventavano sempre più forti, assordanti. «Chiudi i rapporti, escine completamente, hai la tua vita, fallo». Una fitta, una fitta enorme allo stomaco. « Non guardarmi così, non ti sto provocando». Lo sapevo, sapevo che non mi stava provocando. Quando uno provoca dice qualcosa che in realtà spera che l'altro non faccia. La sua non era una provocazione, forse guardandola negli occhi ne avrei avuto la conferma, tuttavia avevo cercato di evitarli per mantenere un minimo di autcontrollo.
Poi l'esplosione, una miriade di ricordi, ricordi solo belli, solo bellissimi, rividi il mare, il lago, un té, una canzone, un abbraccio, vidi un sorriso e in quel momento mi sentii in trappola, sommersa dai ricordi. Mentre tentavo con estrema fatica di tornare a galla, mi chiesi che cazzo stavo facendo, stavo solo cercando di convincermi che non c'era niente per cui soffrire. Peccato che sono una gran testa di cazzo e non riesco a prendermi per culo da sola. Pensai allora che forse ero solo pazza e stavo soffrendo nella mia follia.
Poi stop.
Mi sembrò di vedere tutto così chiaramente. Era tutto così scontato, mi chiesi solo perché c'avessi messo così tanto a rendermene conto o più che altro a chiamare il mio fastidio per nome.
Pressioni.
Pressioni ovunque. Le sentivo come un chicco di grano finito nella macina. Dagli altri e da me. Ma non da lei.
Era arrivato il momento di fregarsene, ma fregarsene davvero una volta per tutte. Era arrivato il tempo di bloccare la macina con un bastone. L'acqua calda della doccia portò via tutti i lividi che quella macina mi aveva provocato, li vidi andare via con il sapone nello scarico della doccia. Li salutai, dissi loro che non mi sarebbero mancati.
Respirai a pieni polmoni e quella lacrima che mi scese sul volto non tagliava, non era una lama, era gentile e mi carezzò la guancia. Sorrisi.
il tempo passa
ma le lancette non si muovono
i bambini corrono
e i loro sogni non svaniscono
sorprendo i miei occhi
li spio dentro a un riflesso
pensavo fossero diversi dai tuoi
ma sono uguali adesso