destino
Guardavo la città, sopra di me il cielo era d'asfalto, guardai le mie scarpe. Conoscevano quel cielo. I miei Levi's poggiavano su quel muretto freddo e discontinuo, il vento fumava la mia sigaretta e in cambio mi carezzava i riccioli di paglia. Tra le mani l'Antologia di Spoon River era aperta a pagina 399 dove sul foglio giallastro l'inchiostro nero sussurava " Forse pensi, viandante, che il Destino/ sia un trabochetto esterno/ che puoi schivare usando/ previdenza e saggezza." Mi fermai un istante prima di proseguire e pensai alle parole che avevo letto, quella lettera D maiuscola che avviava la parola destino mi scosse un po'. Pensai al mio di Destino, ebbi paura. Non trovai concretezza nei pensieri, vidi una foglia di tè, una notte d'amore, un ramoscello di ulivo tra le ruote della mia vecchia Bianchi e un libro aperto di John Fante, poi vidi il mare di notte e a quel punto iniziai a naufragare nel profondo dei dedali della mia mente brandita dalla più intensa delle vertigini, inspirai con forza, lasciai cadere il mozzicone dalle mani e liberai con delicatezza l'aria immessa poco prima, vidi il vapore della condensa raccogliersi davanti ai miei occhi umidi, poi lo guardai allontanarsi e disperdersi nel cielo cinereo, prima che potesse raggiungere le nuvole di smog della città. Solo dopo capii che quel vapore era l'immagine del mio destino, rado, inconsistente e destinato a scomparire prima di raggiungere lo smog del mondo.