Io non voglio essere capito, io voglio essere, capito?
Pretendiamo comprensione, pretendiamo d'essere capiti. Ma capiti da chi? Lo pretendiamo come diritto, eh ma dovresti capirmi, eh ma almeno tu dovresti capirlo. No, non è vero un cazzo. Non possiamo pretendere d'esser capiti proprio da nessuno e non so bene il perché. Forse perché le emozioni restano sempre e comunque impulsi elaborati nel nostro encefalo e quindi probabilmente per quanto simili, sono pur sempre frutto di organismi diversi, elaborate in modo diverso, percepite in modo diverso da ciascun individuo.
Non lo so, in ogni caso no, io non voglio essere capita.
Sentirsi compresi genera profonda rassicurazione, ma se posto come aspettativa non può che generare profonda delusione, malessere, frustrazione, il famoso Nessuno mi capisce.
Empatia. L'etimologia di questo prezioso termine così violentato suggerisce proprio la capacità di entrare nel pathos, di essere in grado di comprendere, di entrare a pieno nello stato d'animo altrui. Empatia è qualcosa di splendido, ma estreamentoe raro, eccezionale. E non è sull'eccezione che si può fare la regola.
Si può invece sperare di essere lasciati in pace, liberi di compiere le proprie scelte, di compiere i propri sbagli ed è qualcosa di talmente logico che espresso finisce per suonare banale e retorico. Invece questo non è possibile perché viviamo col dito puntato contro per tutto, centinaia, migliaia di dita pronte ad indicarci, migliaia di bocche pronte a sputare sentenze. Viviamo in un enorme e camuffato - neanche troppo - tribunale, io cito er Manna e ve dico che « quanno un giudice punta un dito contro un povero fesso, nella mano stringe altre tre dita... che indicano se stesso. »